«Pedaggi illeciti», la GdF indaga sui soldi dei Benetton
Si accendono i riflettori sul gruppo Benetton, per capire se i dividendi derivanti dalla rete autostradale che gli imprenditori trevigiani si sono spartiti negli ultimi anni fossero legittimi. Come riportato…
Si accendono i riflettori sul gruppo Benetton, per capire se i dividendi derivanti dalla rete autostradale che gli imprenditori trevigiani si sono spartiti negli ultimi anni fossero legittimi. Come riportato da La Verità, da qualche mese la Procura di Roma e la Guardia di finanza hanno avviato un’inchiesta che punta ad analizzare vent’anni di incassi miliardari derivanti dai pedaggi.
Le Fiamme gialle si sono presentate negli uffici romani di Autostrade per l’Italia (sino al 2022 controllata dai Benetton attraverso la holding Atlantia) e del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims, già Mit) per acquisire la documentazione necessaria a dare una risposta al quesito sugli utili. L’anno scorso la Procura di Roma ha aperto un fascicolo ipotizzando i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e di peculato.
Un procedimento che potrebbe far luce sulle possibili cause «remote» della tragedia che ha causato 43 vittime la mattina del 14 agosto 2018. A innescare le indagini è stato l’esposto presentato dagli avvocati Raffaele Caruso, Andrea Ganzer, Andrea Mortara e Ruggiero Cafari Panico, docente esperto di diritto comunitario, per conto di una serie di comitati di cittadini e associazioni di categoria.
Il peccato originale è la cosiddetta quarta convenzione aggiuntiva Anas-Autostrade del 23 dicembre 2002, assorbita in una legge del 2004. Quella norma prevedeva incrementi nei pedaggi che andavano ad aggiungersi alla tariffa forfettaria a chilometro introdotta nella prima convenzione del 1997 e propedeutica alla privatizzazione della rete autostradale. Quella riconosciuta nel 2004 era una seconda quota di pedaggio destinata a finanziare nuove infrastrutture:
- nove svincoli
- la terza corsia del Grande raccordo anulare
- la quarta della Milano-Bergamo
- la Lainate-Como-Grandate
- la terza corsia della Rimini nord-Pedaso.
Ma l’opera più importante e costosa era la bretella Rivarolo-Voltri a Genova, un passante del costo di 1,8 miliardi di euro, che vent’anni dopo non è (ancora) stato realizzato. Complessivamente si trattava di opere del valore di 4,7 miliardi. E secondo gli avvocati quei progetti, rimasti lettera morta, avrebbero rappresentato «la base di calcolo per l’individuazione della tariffa autostradale che lo Stato permette al concessionario di applicare».
Ma se le infrastrutture non sono mai state realizzate, i fondi destinati a esse sarebbero comunque stati incassati e sarebbero serviti a ripianare il debito da 8 miliardi che la Edizioni holding Spa, la cassaforte dei Benetton, aveva contratto per acquisire, con l’aiuto delle banche, il 53,8% delle azioni di Aspi a un prezzo considerato all’epoca elevato.
Secondo gli esponenti, gli utili sarebbero serviti a coprire le rate dei mutui accesi per effettuare l’opa. Anche perché la nuova componente tariffaria non ha sostituito quella base e ha permesso di creare un secondo serbatoio sempre alimentato dai pedaggi, ma scollegato dai lavori eseguiti e dai costi di servizio. Il margine di utile potrebbe aver raggiunto il 25% annuo, mentre secondo le norme europee per le concessioni pubbliche, quel margine non potrebbe superare il 7%.
I pm, in sostanza, vogliono capire come sia stata “costruita” la nuova fetta di pedaggio destinata agli investimenti, quanto di quella torta sia stata effettivamente indirizzata verso gli originari obiettivi e se e quanti soldi siano stati restituiti al ministero per le opere non realizzate. Poi occorrerà accertare se i Benetton abbiano usato per pagare le azioni di Aspi e aumentare i dividendi le cospicue risorse provenienti dai pedaggi e destinate a opere incompiute. Magari mentre diminuivano gli investimenti per le manutenzioni, che si sono rivelati insufficienti.